Molti oggi si curano omeopaticamente, anche se spesso dell’omeopatia conoscono solo i globulini bianchi dei rimedi che vengono prescritti.
In farmacia, del resto, si trovano una quantità di confezioni con la dicitura “prodotto omeopatico”, che in realtà poco hanno a che fare con l’omeopatia.
Spesso, poi, si sente qualcuno affermare categoricamente “non credo nell’omeopatia”, come se si trattasse di una religione, cosa che ovviamente non è.
Allora che cos’è veramente l’omeopatia?
Qualche anno fa, il professor Federspil e il professor Lodispoto, in un dibattito sulla rivista “Tempo Medico”, per definire la scientificità dell’omeopatia fecero riferimento a Bertrand Russel che aveva illustrato questi tre stadi, secondo i quali evolve il metodo scientifico:
Primo stadio: osservare i fatti significativi.
Secondo stadio: giungere ad una ipotesi che, se vera, deve spiegare questi fatti.
Terzo stadio: dedurre da questa ipotesi delle conseguenze che si possono sottoporre ad osser=
vazione.
Ripercorrendo il cammino di Hahnemann (il medico che ha fondato l’omeopatia), alla luce di questi tre stadi, possiamo constatare che egli seguì perfettamente il metodo scientifico.
Nel 1790, infatti, ispirato dal famoso trattato di farmacologia del Cullen, osservò che prendendo in piena salute forti dosi di corteccia di china, si andava soggetti a febbri ricorrenti, come, era stato documentato, accadeva agli operai che lavoravano la china. Osservò cioè un fatto significativo, come prevede, appunto, il primo stadio del metodo scientifico.
Allora Hahnemann si domandò: com’è possibile che una sostanza che combatte la febbre possa anche provocarla?
E giunse così al secondo stadio del metodo scientifico, cioè avanzò l’ipotesi che una sostanza somministrata a dosi tossiche, provoca quegli stessi sintomi che a dosi basse si dimostra capace di guarire.
Passò quindi a sperimentare su di sé la corteccia di china, poi la somministrò anche ai suoi familiari, e verificò che c’era sempre l’insorgere della febbre.
Per avere una conferma più ampia della sua ipotesi, Hahnemann sperimentò altre sostanze a forti dosi, e annotò tutti i sintomi che queste intossicazioni provocavano. Ma osservò anche un fenomeno molto importante, e cioè che l’intossicazione della singola sostanza coinvolge l’economia di tutto l’organismo, ossia comporta il comparire di sintomi mentali, generali e locali.
A questo punto, Hahnemann arrivò al terzo stadio del metodo scientifico illustrato da Russel, e cioè dedusse da queste ipotesi, conseguenze che si possono sottoporre all’osservazione.
Si pose dunque la seguente domanda: se la china, ingerita a dosi tossiche, procura febbri periodiche, come quelle della malaria che a dosi tenui guarisce, possono anche altre sostanze essere impiegate in terapia secondo lo stesso principio?
La conseguenza a questo ragionamento fu che cominciò a sottoporre ad osservazione alcuni malati, a cui somministrò dosi molto basse di quelle sostanze che a dosi tossiche procuravano, nei soggetti sani, sintomi perfettamente uguali a quelli riscontrati nel soggetto malato. E osservò che i malati guarivano.
Da questi fatti, da queste osservazioni, derivò la prima legge dell’omeopatia, cioè la legge dei simili, che si enuncia così:
ogni sostanza che a dosi ponderali è capace di provocare in un soggetto sano un determinato quadro sintomatologico, è anche capace di far scomparire gli stessi sintomi presenti in un soggetto malato, se questa sostanza viene presa a dosi deboli.
Sono passati duecento anni, durante i quali sono state sperimentate diverse migliaia di sostanze del regno animale, minerale e vegetale, su migliaia di volontari sani. A distanza di decenni, nelle più lontane parti del mondo, su volontari diversissimi tra loro, le sperimentazioni sono state ripetute tante volte, e i risultati sono stati sempre uguali, anzi sovrapponibili.
L’omeopatia non è la medicina delle erbe, come molti pensano, ma non è neanche una medicina fantastica. Essa nasce dall’osservazione di fatti significativi e concreti, da cui poi scaturiscono i principi e le leggi su cui si fonda.
La medicina ufficiale o convenzionale, identifica il metodo scientifico con l’approccio biochimico, cioè con l’uso di principi attivi che agiscono su particolari recettori cellulari.
Si tratta di un approccio che presuppone un particolare metodo di indagine ( le ricerche vengono fatte sugli animali).
Questo modello scientifico non può essere applicato all’omeopatia, che agisce con un meccanismo d’azione diverso, e ancora non del tutto esplorato fino in fondo.
Ma il fatto che il meccanismo d’azione del rimedio omeopatico non sia stato ancora pienamente indagato, non impedisce all’omeopatia di curare efficacemente le persone ormai da più di 200 anni.
Del resto, neanche di molti farmaci chimici si conosce il meccanismo d’azione, eppure essi vengono tranquillamente usati.
L’omeopatia si avvale di una sperimentazione particolarmente valida ed attendibile, perché non viene eseguita su animali, bensì sull’essere umano in condizioni di salute ottimale. Questa sperimentazione permette di raccogliere una sintomatologia ben definita che coinvolge tutto l’essere vivente, nelle sue componenti fisica, psichica ed emozionale.
La questione che viene sollevata per screditare l’omeopatia riguarda l’estrema diluizione delle sostanze di partenza.
In proposito, Hahnneman ha osservato che maggiore era, in certe circostanze, la diluizione è più aumentava la sua efficacia, e su questa base ha elaborato il seguente procedimento:
– mise 1 goccia della tintura madre di una determinata sostanza in 99 gocce di acqua, e ottenne la prima diluizione;
– poi prese una goccia della soluzione così ottenuta, e la mise in altre 99 gocce di acqua, ottenendo in questo modo la seconda diluizione.
Queste diluizioni hanno preso il nome 1CH, 2CH, sigle che significano: prima diluizione centesimale hahnnemaniana, seconda diluizione centesimale hahnnemaniana, etc..
Alla 12 CH (ossia alla dodicesima diluizione centesimale hannemaniana) si arriva ad un livello critico di diluizione, che in chimica prende il nome di numero di Avogadro, per cui statisticamente non esistono più molecole nella soluzione.
I critici allora dichiarano che essendo solo acqua, il rimedio non può avere nessuna efficacia.
Seguendo la logica di questa loro osservazione, essi dovrebbero allora essere scettici solo riguardo alle diluizioni altissime, cioè quelle che superano la dodicesima diluizione, e dovrebbero invece accettare le diluizioni basse.
Ma al di là di queste considerazioni sulle diluizioni, c’è un altro aspetto del rimedio omeopatico, che è quello della dinamizzazione, la cui importanza per lo più sfugge ai critici.
Di cosa si tratta?
Hahneman, nel corso delle sue ricerche, aveva notato che per ottenere rimedi più efficaci e più affidabili non era solo necessario diluirli, ma anche sottoporli a particolari sollecitazioni meccaniche che chiamò dinamizzazioni.
In conclusione dunque, le caratteristiche del rimedio omeopatico sono le seguenti:
risponde alla legge di similitudine; è diluito; è dinamizzato.
Sarà proprio la dinamizzazione a cui vengono sottoposte le sostanze diluite, che determinerà proprietà a noi sconosciute, che potrebbero essere alla base della spiegazione dell’efficacia delle alte diluizioni.
In questi ultimi anni si stanno finanziando le prime ricerche per comprendere il funzionamento dell’omeopatia, destinate proprio a far luce a questi aspetti ancora sconosciuti.
Un’altra critica rivolta frequentemente all’omeopatia è che funziona come effetto placebo.
Ma, stranamente, la sua maggiore efficacia si riscontra proprio nei bambini e negli animali, che sono poco sensibili all’effetto placebo.
Quali sono le patologie che l’omeopatia può curare ?
Molte sono le situazioni patologiche che rispondono bene alle cure omeopatiche:
le allergie, le malattie infiammatorie (riniti, faringiti, gastriti, tendinite, artriti, cistiti, etc), le malattie della pelle (eczemi, acne, etc), le malattie autoimmunitarie (artrite reumatoide, etc), molte malattie croniche, tutti i disturbi psicosomatici, l’ansia somatizzata e tante altre ancora.
Più in generale, si ottengono buoni risultati, sia nei bambini che negli adulti, quando le risorse reattive dell’organismo sono ancora valide, quando i meccanismi di autoregolazione condizionati dal sistema nervoso, endocrino ed immunologico sono ancora in grado di innescare il processo di guarigione.
In conclusione, l’omeopatia è efficace nelle malattie acute, ma ancora di più nelle malattie croniche. Viceversa non può esserlo nelle patologie gravi, e quando le risorse dell’organismo sono esaurite.
Tuttavia, l’aspetto ancora più importante dell’omeopatia è l’incontro, da parte del malato, desideroso di aiuto, con una medicina che pone al centro del percorso terapeutico la persona con tutta la sua complessità.